Da pochi giorni sono statti resi pubblici i dati Istat relativi alle richieste di aiuto da parte delle donne durante la pandemia. Nel 2020 le chiamate al numero gratuito 1522 sono aumentate del 75,9% rispetto all’anno precedente. A chiamare, donne che nel 49,7% dei casi hanno segnalato violenze fisiche, anche se quasi tutte hanno dichiarato di subire più di una forma di violenza, in particolare quella psicologica (50,5%). Preoccupante anche l’aumento di casi nella fascia di età under 24.
Sono numeri che parlano chiaro e inquadrano un fenomeno che ci riguarda tutti. Ne abbiamo parlato con Eleonora Lozzi, operatrice del Centro Veneto Protezione Donne che raggruppa 5 centri antiviolenza in provincia di Padova.
“L’anno che ci siamo lasciati alle spalle è stato significativo” – dichiara Eleonora. “Basti pensare che in media la nostra ogni anno registriamo un aumento di chiamate intorno al 15-20% annuo, che non equivale a un aumento della violenza sul territorio, ma a un aumento dell’emersione del fenomeno. Un dato positivo perché significa che più donne sono consapevoli della situazione che vivono e chiamano per chiedere aiuto.
Nel 2020, soprattutto a marzo e aprile, c’è stato un crollo delle nuove richieste intorno al 60%, a riprova che le donne in lockdown con il partner maltrattante, non avevano la possibilità di chiedere aiuto. Il telefono era quasi muto.”
Difficile rimanere indifferenti quando sentiamo parlare di numeri simili. Ma proprio nelle parole si nasconde una chiave per affrontare il problema. È infatti interessante analizzare la narrazione della violenza, sui media come nella vita di tutti i giorni.
“Spesso vengono scelte parole che ci permettono di mettere distanza fra noi e la violenza e questo avviene perché la violenza ci spaventa e in qualche modo ci riguarda tutti” – sostiene Eleonora. “Tendiamo a mettere in atto un meccanismo di difesa, perché parlare di violenza fa paura e parlarne in modo corretto, senza spettacolarizzare la tragedia e interrogarci su cosa c’è sotto, è difficile.”
Questo accade anche a chi la violenza la subisce. Una donna che è in una relazione tossica, fatica a riconoscerla, a parlarne e a chiedere aiuto, perché quasi sempre la violenza avviene all’interno di relazioni intime e significative. Parlarne significa mettersi a nudo e rimettersi al giudizio degli altri.
Come scardinare gli stereotipi
Il primo passo inizia da ciascuno di noi e dal nostro modo di vedere le cose che va ribaltato: non è la donna che sceglie la violenza, ma è il maltrattante che decide di applicarla. Basta quindi giustificazioni: chi sceglie la violenza esercita il proprio potere sulla partner per controllarla, per decidere al posto suo. Non c’è la giornata storta al lavoro, non c’è la dipendenza da sostanze, non ci sono traumi dell’infanzia. Le situazioni non giustificano mai l’azione.
Il secondo aspetto da considerare è che dobbiamo iniziare a comprendere la scelta della donna di restare in quella relazione. Possono incidere molti fattori: proteggere i figli, non essere economicamente indipendente, avere paura di non farcela, non sapere come spiegare la situazione alla propria famiglia. Il fenomeno è trasversale a tutte le classi sociali. Anzi. Per donne affermate, con posizioni importanti e sottoposti, è ancora più difficile rivelare la violenza, perché la loro immagine sociale verrebbe molto danneggiata da una rivelazione così pesante. Sarebbe letta come un segno di debolezza e di incapacità a farsi valere.
E poi ci sono gli uomini. Il processo di liberazione dagli stereotipi di genere riguarda anche loro, che ancora oggi sono ingabbiati in un’immagine che li vede forti, duri, incapaci di provare emozioni. Gli uomini dovrebbero alzare la voce e ribellarsi. Perché se la donna passa per la poco di buono, loro vengono accomunati ad animali che di fronte a un bel corpo perdono la testa.
Come aiutare
Può capitare a chiunque di avere un’amica che si trova in difficoltà. Se decide di aprirsi e confidarsi con noi, il modo migliore per aiutarla è sforzarci di non avere un approccio giudicante. Dire a quella donna come deve comportarsi e sottolineare le sue scelte sbagliate (dal nostro punto di vista) porta a chiudersi in se stessa. È utile invece ascoltarla, esserci e garantirle un luogo sicuro in cui rifugiarsi qualora decidesse di agire.
I numeri utili da non dimenticare sono quelli di emergenza (112 e 113) se la situazione è di grave pericolo, e il numero gratuito 1522 disponibile 24 ore su 24, 7 giorni su 7. Qui la donna può rivolgersi per avere informazioni ed essere indirizzate al centro antiviolenza più vicino. Questi non hanno obbligo di denuncia, quindi la donna non viene obbligata a fare nulla, ma ha diritto ad avere colloqui di sostegno psicologico e supporto legale gratuiti. Da evitare invece codici di vario genere che circolano sui social o sul web e che spesso non hanno fondatezza. È importante verificare le fonti prima di far girare informazioni che rischiano di fare più male che bene.
Questo tema ti interessa? Non perderti il video della nostra intervista a Eleonora Lozzi