Quella della violenza sulle donne è una piaga che viene da lontano. Affonda le sue radici nella storia e c’è sempre stata, da che se ne ha memoria. A ben vedere, ogni volta che le donne hanno provato ad alzare la testa per far capire che erano soggetti pensanti dotati di intelletto e intuito, qualcuno ha provato a fermarle con qualche mezzo: normativo, religioso, punitivo.
Oggi se ne parla ed è già una buona notizia. Sono nati movimenti che danno voce al mondo femminile, tante barriere sono state abbattute e i progressi si vedono (almeno in una certa parte di mondo): possiamo votare, studiare, lavorare, andare in vacanza da sole, decidere di non avere figli, divorziare, scegliere un percorso di studi, rivestire ruoli che in passato erano puro appannaggio degli uomini.
Eppure, nonostante i passi avanti, strisciante più che mai, continua a fluire un astio, un fastidio per queste donne che si permettono di farsi notare e di reclamare posizioni e diritti che, in fondo, buona parte del mondo non vorrebbe concedere loro.
Ma cosa vogliono queste? Cos’è sta cosa della parità di genere? E poi non si può più dire niente, neanche fare un battuta, un apprezzamento per strada e subito si viene tacciati di essere discriminatori, offensivi, violenti. Invece le donne sono contente se facciamo loro un complimento. Cat calling, body shaming, stalking. Basta con tutte queste storie! Qui si sta esagerando!
Ce lo immaginiamo così un tipico scambio di battute al maschile sul tema. Ma non credete, le donne non sono scagionate. Qui non facciamo il gioco della vittima e del carnefice. “Le prime nemiche delle donne sono le donne” è una frase che rispecchia piuttosto fedelmente la realtà. Quante volte siamo noi le prime a criticare?
“Ma come si veste quella? Ci credo che le hanno dato una promozione sul lavoro, se la farà col capo”.
“Certo che ne ha presi di chili dall’ultima volta. Potrebbe anche fare qualcosa per rimettersi in forma”.
“Non capisco perché non mette su famiglia. Pensa solo al lavoro e a fare carriera. Poveretto il marito”.
Alzi la mano chi non ci è cascata almeno una volta. Una frase o l’altra, poco conta, ce ne sono a centinaia e hanno tutte lo stesso scopo, quello di svilire. Come se ne uscissimo migliori, più intelligenti, o furbe, o rispettose delle regole sociali. TAAAAC. Eccolo lì, l’inganno che ci fa credere che se ci adeguiamo a canoni imposti da ALTRI siamo ok, mentre ogni cosa che ci spinge in una direzione differente, ci fa sentire sbagliate. Diventa così più facile scaricare le frustrazioni sulle altre, spostare l’attenzione per non doverci fermare e guardare dentro.
Cosa succederebbe, se cambiassimo atteggiamento? È un esercizio faticoso, sia chiaro, quello di togliere i filtri dei pregiudizi ed essere onesti con sé stessi. Ma è una chiave per capire se quello che facciamo è realmente frutto di un nostro desiderio o di condizionamenti esterni, se la vita che stiamo vivendo ci soddisfa, se ci accettiamo per chi siamo, difetti compresi. Guardiamoci da fuori, come spettatrici, e ascoltiamo le parole che usiamo quando parliamo degli altri. Vorremmo che qualcuno le pronunciasse riferendosi a noi?
Se per prime usassimo questa chiave di lettura per comprendere le altre donne, diventerebbe più facile fermarsi a pensare, prima di parlare ed emettere una “sentenza”. Sarebbe più semplice entrare in sintonia e iniziare a essere solidali, anziché combattersi. Non siamo nemiche, navighiamo lo stesso mare e affrontiamo le stesse tempeste.
Certo, non è un cambiamento che si realizza in una manciata di giorni, piuttosto è un processo lungo e impegnativo. D’altro canto è necessario perché se è vero che vogliamo essere trattate con rispetto, in quanto persone e donne, abbiamo il dovere e la responsabilità di essere da esempio. Come dei genitori attenti, che con il loro comportamento possono infondere fiducia nei figli e insegnare loro valori basici per vivere e convivere in armonia con il prossimo. Investiamo per creare una rete che ci unisce le une alle altre, una sorellanza che ci aiuti a difendere le nostre idee e a portare avanti piccole grandi rivoluzioni.
Come sostiene Malala Yousafzai “ci accorgiamo della nostra voce solo quando siamo messe a tacere”. Allora usiamola, quella voce, per cambiare le cose.